Le maschere e i costumi di Halloween di oggi sono lucidi, perfetti, spesso riconoscibili: il personaggio del film, il supereroe, il mostro con certificato ufficiale. Quelle di ieri, invece, nascevano in cucina o in soffitta, con cartapesta, sacchi di juta, lenzuola sdrucite, bottoni cuciti all’ultimo minuto. Il risultato è una bellezza storta e inquieta: sorrisi incrinati, occhi senza pupille, proporzioni sbagliate.
Keblog ha raccolto per voi una lista di fotografie vintage che, più di qualsiasi maschera patinata, sanno farci venire i brividi. Non c’è abuso di effetti speciali: ci sono mani, forbici, colla e un’immaginazione senza filtri. Il bianco e nero, la grana della pellicola e le ombre delle lampadine aggiungono una patina di mistero, facendo vivere i volti come apparizioni fuori dal tempo. Sono immagini che sembrano uscire da un sogno sbagliato – quello che inizia come festa e diventa incubo.
Guardandole oggi, colpisce l’assenza di ironia: non sono costumi “carini”, sono presenze. Tra capre antropomorfe, bambole dagli occhi vuoti e figure incappucciate, il confine tra gioco e rito si fa sottile.
Allora, senza indugio né paura, ammirate questa galleria di maschere e costumi di Halloween vintage, e non dimenticate di votare i vostri preferiti! Ah, quando avete fatto non perdetevi la nostra raccolta di spettacolari decorazioni di Halloween!
Le radici di Halloween affondano nel Samhain celtico, la festa di fine raccolto che segnava il passaggio all’inverno. In quella notte si credeva che il confine tra vivi e morti diventasse sottile, e si accendevano fuochi per protezione e buon auspicio.
Con la cristianizzazione, Samhain si intrecciò con Ognissanti e la Commemorazione dei Defunti. “All Hallows’ Eve”, la vigilia di Ognissanti, conservò riti popolari, mascheramenti e questue, trasformandosi lentamente nella festa che conosciamo.
In Irlanda e Scozia era diffusa la “guising”: bambini e adulti andavano di casa in casa mascherati, recitando versi o canzoni in cambio di dolci o monete. Si intagliavano rape per farne lanterne, prima delle zucche.
L’emigrazione portò queste usanze in Nord America. Qui Halloween si fuse con le feste autunnali locali, crescendo come celebrazione comunitaria con giochi, balli, sfilate e piccoli pranzi di quartiere.
Il “dolcetto o scherzetto” si affermò tra anni ’20 e ’50 del Novecento, quando le questue divennero più organizzate e “familiari”. Dopo la guerra, l’industria dei dolci e dei costumi contribuì alla sua diffusione capillare.
Un secolo fa i costumi erano quasi sempre fatti in casa. Si usavano ciò che c’era: lenzuola, vecchi cappotti, scampoli, spago, giornali e cartoni delle scatole.
La cartapesta era regina: farina, acqua e strisce di giornale modellate su forme semplici (una ciotola, una zucca, una maschera di base), poi lasciate asciugare vicino alla stufa. Una mano di tempera opaca completava l’opera.
Le maschere nascevano anche da sacchi di juta e stoffe grezze, con buchi per occhi e bocca. Bottoni, cordini, piume e fili di lana aggiungevano dettagli rapidi ma inquietanti.
Per il trucco si improvvisava: fuliggine, carbone, sughero bruciato, farina e rossetti economici. Il risultato era ruvido, con volti sbiancati e contorni marcati che la pellicola enfatizzava.
Molti costumi riciclavano abiti da lavoro, grembiuli, cappelli logori, accessori agricoli. Bastava deformare le proporzioni (un cappello troppo grande, una maschera troppo piccola) per creare un effetto perturbante.
Nelle drogherie e nei “five-and-dime” si trovavano già maschere economiche in cartone pressato o feltro. Ma l’acquisto era spesso solo il punto di partenza: a casa venivano ritoccate, rattoppate, rese “più mostruose”.
Negli Stati Uniti Halloween si celebrava soprattutto in scuole, chiese e sale parrocchiali, con giochi come “apple bobbing” (gioco delle mele galleggianti, i partecipanti devono afferrarle usando solo la bocca), indovinelli e tombole. Le piccole città organizzavano sfilate di costumi e concorsi casalinghi.
In Canada tradizioni simili convivevano con questue locali autunnali. Il clima freddo spingeva a costumi a strati e feste al chiuso, tra torte di zucca e sidro caldo.
Nel Regno Unito sopravvivevano usanze di guising (tradizione scozzese di Halloween in cui i bambini, travestiti, andavano di casa in casa esibendosi in poesie, canti e altri numeri per ottenere dolci o monete) e lanterne di rapa, accanto a falò e giochi di divinazione domestica: sbucciare mele, lanciare gusci di nocciole, leggere presagi nel fuoco.
In Irlanda i racconti sugli spiriti e su Jack-o’-Lantern restavano centrali. Le case esponevano luci e si condividevano dolci semplici, come pane speziato e mele caramellate.
In Italia le ricorrenze di Ognissanti e dei Morti hanno tradizioni proprie: visite ai cimiteri, dolci tipici regionali, piccoli doni “portati dai defunti” ai bambini in alcune zone. Negli ultimi decenni Halloween si è sovrapposto senza sostituire i riti locali.
In Messico il Día de Muertos celebra il ritorno affettuoso degli antenati, con altari, candele e pane dei morti: non è Halloween, ma condivide il dialogo con l’aldilà e l’idea di una soglia sottile tra i mondi.
In Europa centrale e alpina, le processioni di lanterne autunnali e le zucche intagliate evocavano spiriti del raccolto e protezione per l’inverno. Le immagini notturne, controluce, amplificavano il lato misterioso della stagione.
Guardando queste foto, colpisce la forza dell’invenzione domestica: pochi materiali, tanta immaginazione. È forse lì che nasce il brivido: nell’imperfetto che suggerisce più di quanto mostra.
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