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5 buoni motivi per dare più spazio all’Arte Contemporanea nelle scuole

Ho perso il conto delle volte in cui mi è toccato sentire “Ma cos’è sta roba? Sono capace anche io di farlo.” riferito ad una qualsiasi opera che differisca leggermente da ciò che comunemente associamo alla parola ARTE. Fino a che si parla di ritratti, paesaggi, e simbologie caratterizzati da pennellate fluide, colori verosimili e chiaroscuri perfetti tutti sono tranquilli e tutti (a ragione) si godono l’opera. Quando però si osa parlare di Fontana, Kosuth o Klein tanti nasini si storcono, fino a che non viene pronunciata un’altra tipica frase “Ma è brutto!”.

Le tante discussioni, più o meno serie con persone di età e luoghi diversi, sul confronto tra tutte le epoche artistiche e l’Arte Contemporanea mi hanno fatto capire che non c’è proprio niente da confrontare: c’è da domandarsi, capire, studiare e stupirsi. A scuola i ragazzi hanno bisogno di sviluppare queste competenze e certamente imparare a chiedersi quale sia il procedimento creativo che si cela dietro un’opera magari “brutta” e “poco comprensibile” potrebbe essere un buon modo per allargare i loro orizzonti.

Ecco cinque opere d’arte contemporanea che rappresentano cinque buoni motivi per far conoscere l’arte contemporanea ai ragazzi.

1. Y. Klein, La Vittoria di Samotracia, 1962 – Il passato non è intoccabile

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Ciò che rende quest’opera magnetica è il contrasto tra un’immagine a noi nota come quella della Nike e un colore così nuovo e vibrante come il Blu Klein. Questa scultura rappresenta davvero il rapporto che deve intercorrere tra passato e presente: il passato va capito, studiato e rispettato, ma non deve essere visto come intoccabile: possiamo e dobbiamo servirci di ciò che è stato per rinnovarci e costruire qualcosa di diverso.

2. L. Fontana, Concetti spaziali –  Guardare oltre il proprio naso

5 buoni motivi per dare più spazio all'Arte Contemporanea nelle scuole

5 buoni motivi per dare più spazio all'Arte Contemporanea nelle scuole

Il povero Fontana viene sempre un po’ schifato. La verità è che l’arte di Lucio Fontana, come gran parte delle opere d’arte contemporanea, è impegnativa, difficile da capire. Non si può pensare di entrare in un museo di arte contemporanea e senza sapere nulla sedersi ad ammirare la bellezza delle opere: questo possiamo farlo al Louvre o agli Uffizi, luoghi in cui, anche solo con una conoscenza superficiale o addirittura nulla dei quadri che abbiamo davanti possiamo bearci della loro bellezza, della loro armonia ed essere investiti magari dalle emozioni che l’artista, per mezzo del soggetto, ci trasmette. L’arte contemporanea non funziona così, i spinge a porti domande, ad arrovellarti per sintonizzarti sulla stessa lunghezza d’onda dell’artista per provare a comprendere il suo processo creativo.

Fontana non si sveglia un giorno e taglia la tela. Fontana destruttura anno dopo anno il concetto di arte figurativa fino ad arrivare a capire che la forma non è importante: quello che è davvero fondamentale è l’idea che sta dietro l’opera, per questo ci permette di sbirciare l’interno della tela attraverso le fenditure che crea con punteruolo e taglierino. I ragazzi hanno bisogno di farsi domande tanto quanto hanno bisogno di bellezza pura: per questo è importante far conoscere loro Fontana tanto quanto Caravaggio.

3. W. De Maria, Lighting Field, 1979 – Imparare l’attesa per un solo attimo di bellezza

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Quest’opera è inserita nella corrente della Land Art che riunisce artisti che scelgono di fare arte intervenendo sul territorio, spesso esaltandolo. Il fascino di quest’opera sta nella sua concezione stessa: un ritratto appeso in un museo è sempre lì ad attenderci e possiamo ammirarlo per tutto il tempo che vogliamo. Questo a De Maria non piace e ci educa al rispetto dei tempi della natura, al non mettere fretta alla meraviglia: quest’opera è fruibile solo durante un temporale, durante il quale i fulmini colpiscono causalmente i 400 pali che fungono da parafulmini, creando ogni volta un’opera d’arte unica e irripetibile. “E se quando vado io è tutto sereno?” Devi tornare, dovrai saper aspettare per poterti gustare i tuoi secondi di bellezza.

4. J. Kosuth, Una e tre sedie, 1965 – Cercare l’essenza delle cose

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Solitamente questa installazione concettuale provoca un sorrisetto sul volto di chi la vede la prima volta: a me affascina perché si riesce a percepire la genialità dell’autore nel farti riflettere su una cosa che sembra banale ma non lo è. Tanto la sedia fisica, quanto la sua rappresentazione e la sua definizione tratta dal vocabolario contengono l’essenza della “sedia”: quello che quest’opera ci può insegnare è pensare fuori dagli schemi, interrogandoci sul vero significato delle parole e delle immagini.

5. M. Duchamp, Fontana, 1917 – Combattere per ciò in cui si crede non prendendosi mia, però, troppo sul serio

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Quest’opera rivoluzionata è diventata la rappresentazione per eccellenza del termine “ready made” (già pronto): Duchamp spedisce questo orinatoio rovesciato ad un’importantissima esposizione d’arte. Avendo però utilizzato uno pseudonimo, Duchamp si vede rispedire indietro la sua opera: riesce quindi nell’intento di dimostrare che spesso venga considerata arte qualunque cosa firmata da un nome importante del settore. Allo stesso modo vuole sottolineare la sua concezione di arte: tutto può diventare un capolavoro e credo fermamente che questa frase possa essere un buon modo per guardare la vita e le persone che ci circondano. Spesso la genialità coincide, come in questo caso, con l’ironia e soprattutto con l’autoironia: abbiamo tutti bisogno di imparare che se iniziamo a prenderci un po’ meno sul serio non perdiamo per forza di credibilità, anzi.

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Keblogger: Carlotta Londri

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